Descrizione Progetto

PORTA CARINI

Delle tre porte che si aprivano nella cinta muraria settentrionale della città, soltanto quella detta “di Carini” si è salvata dallo smantellamento operato a partire dal 1853. In tale anno, infatti, venne demolita la Porta S.Rosalia, e verso il 1880 quella “ di Maqueda” per creare l’attuale piazza Verdi. La porta Carini che ancora esiste non è però quella originaria, ma soltanto un suo rifacimento della fine del XVIII secolo. Sull’origine di questa porta le notizie sono alquanto incerte. Si sa soltanto che già esisteva nel 1310, in quanto è nominata in un lascito, che Benvenuta Mastrangelo fece alla Magione,di un giardino con vigna, posto extra Portam Careni Panormi. Nel 1325 il Duca di Calabria tentò di espugnarla senza riuscirvi, ma certamente essa dovette subire danni considerevoli se, subito dopo, Ubertino La Grua, nobile palermitano, ebbe cura di farla ricostruire. A dire del Villabianca, la porta “toglie il nome dalla terra di Carini 17 miglia distante da Palermo, poiché ad essa terra è rivolta, e ad essa agevolmente da qui può andarsi”, anche se alcuni autori hanno scritto che la denominazione sia da collegare ad Umbertino La Grua che “in premio del suo valore, e magnanime imprese in servigio della Real Corona, ottenne l’investitura della Terra di Carini”. E’ però da propendere per la prima ipotesi, tenendo resente che tale nome appare già nel documento del 1310, mentre l’investitura del La Grua è molto successiva. La porta ricostruita nel 1325 era di semplice architettura, formata da un solo arco in pietra da taglio e priva di ogni ornamento. Secondo un’antica tradizione, nel 1348, sopra le mura vicine a questa porta, apparve S.Agata liberando la città dalla peste. Per tale motivo la Santa si venerava in una chiesa oggi distrutta, all’interno della quale vi era un pozzo la cui acqua miracolosa serviva a curare molte infermità.
Nel 1782, come riferisce il Villabianca nei suoi Diari, il Baluardo Gonzaga ( ancora in parte esitente dietro l’edificio di Via Volturno appartenente all’acquedotto municipale) venne ceduto alle monache del vicino monastero di San Vito ( attuale Caserma dei Carabinieri) “per farne loggia di loro diporto”. Il Senato chiese come contropartita che le monache, a proprie spese, ricostruissero la Porta Carini “ con novello nobil disegno”, portandola un po’ più avanti, nel posto dove oggi si trova. I lavori di ricostruzione durarono circa due anni, ed il Senato intervenne alla spesa in minima parte. Riferisce il Villabianca che “ l’apertura di essa fu fatta conforme alle porte Felice e Maqueda, formata di due alte piramidi, che sono comprese fra sei colonne di pietra rustica con vasi di pietra sulle cimase per varietà del disegno”. L a porta diede il nome alche alla strada che da essa conduce al convento di San Francesco di Paola, fatta costruire nel 1596 dal pretore D.Aleramo del Carretto, conte di Gagliano. Porta Carini testimonia di un fenomeno urbanistico verificatosi alla fine del XVIII secolo, e cioè lo spostamento di alcune porte in luogo più avanzato rispetto a quello originario. Con l’abolizione del fossato della città, sul quale vennero impiantati gli stradoni “suburbani” che oggi delimitano il centro storico, molti edifici furono addossati al parametro esterno delle mura urbane, sicchè le antiche porte si trovarono incassate rispetto al nuovo fronte edilizio.

Tratto da: R.La Duca, I bastioni e le porte di Palermo ieri e oggi, a cura di Francesco Arnetta, Salvatore Sciascia Editore, 2014.

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