Descrizione Progetto

PORTA DELLA CALCINA

Don Vincenzo Auria, nelle Memorie varie di Sicilia nel tempo della ribellione di Messina, riferisce che“giovedì 4 maggio 1684, uscì dalla fonderia del real Patrimonio in questa città di Palermo la statua di bronzo del re nostro signore Carlo secondo, tutto armato, sedente sopra un cavallo rampante. E di là fu portata alla vicina porta di mare, detta volgarmente della calcina”. La statua, una delle più importanti opere dell’arte siciliana del secolo XVII, venne trasportata per via di mare a Messina e collocata nel luogo dove sorgeva il Palazzo senatorio. Qui rimase sino al 1848, purtroppo distrutta durante i moti rivoluzionari di quell’anno. La statua in bronzo di Carlo II uscì quindi dalla porta di mare detta della Calcina, una delle cinque che si aprivano lungo la muraglia della Cala, compresa tra
quelle del Carbone e di Piedigrotta. La porta prendeva il suo nome in quanto “ in essa vendevasi la calcina che veniva da fuori e l’arena per la fabbrica degli edifici della città”. L’epoca della sua costruzione è compresa tra il 1560 ed il 1590. Il Mongitore riferisce che la porta era “fabbricata di pietra d’intaglia, alto il suo vano palmi 16, largo palmi 13 e sopra il vano sino alla volta dell’arco v’era uno spazio alto palmi 4” e che dopo che da essa era uscita la statua di Carlo II, era stata mantenuta chiusa. Il Villabianca, che che scrive alla fine del XVIII secolo, precisa che ai suoi tempi non restava “se non il prospetto del solo arco della parte di fuori” e che il vano che rimaneva di essa nella strada della Fonderia, dalla parte di dentro della città, era stato concesso dal Senato al medico Francesco Lo Bianco, verso il 1750, per fabbricare “una casa, la quale con altre aggregate formava la sua abitazione”. Il Di Marzo, nell’annotare il Villabianca, aggiunge che, nel 1874, tale casa apparteneva ai fratelli Maltese. Ma della porta Calcina, così come delle altre quattro della Cala, non rimane oggi alcun resto. L’uso di vendere sabbia presso la Cala è rimasto sino ai nostri giorni, precisante sabbia di fiume o di mare trasportata mediante grossi barconi. Tale tipo di sabbia era la sola adoperata in tempi passati, in quanto allora non esistevano i frantoi per ottenerla con la frantumazione del calcare compatto che forma i monti che circondano la Conca d’ Oro. Solitamente la si cavava alla foce del fiume o si prelevava lungo le spiagge. Tale pratica, però, spesso era nociva, in quanto i cavatori ben poco si curavano di non arrecar danno alle strutture di fondazione dei ponti. Ad evitare questo inconveniente, il Senato palermitano promulgava annualmente un bando di “non potersi fare arena nel Ponte di S. Erasmo ed altri” precisando i luoghi proibiti e quelli dove invece era consentito estrarre la sabbia. Per quanto riguarda la calce non c’erano particolari disposizioni. La si produceva nelle calcare poste alle falde dei monti del territorio palermitano e la si vendeva poi nei pressi della porta di mare, detta proprio per tale consuetudine “della Calcina”.Secondo quanto afferma un lettore del giornale di Sicilia, Giovanni Manfredi , nel novembre del 1985, una parte dell’arco che sovrastava la porta, ubicata a fianco della clinica Triolo-Zancla, era comparsa essendosi staccato un tratto dell’intonaco che la ricopriva. Dopo circa dodici anni , nel corso di alcuni lavori di ristrutturazione della vicina clinica, cui oggi appartiene parte del basso corpo di fabbrica in cui ricadeva la porta, viene scrostato l’intonaco che occultava il prospetto. La Soprintendenza ai Beni Culturali nel 1996 ha approvato il progetto di recupero di quanto rimaneva della porta, ma la Commissione Edilizia ha espresso parere negativo invocando per l’immobile la destinazione a catojo prevista dal Piano Particolareggiato Esecutivo, redatto quando ancora non si conosceva l’esistenza di questo manufatto storico. A seguito di questi rinvenimenti la Commissione Edilizia ha ritenuto che per la salvaguardia di tale documento di storia urbana fosse necessario intervenire con la conservazione e la liberazione delle parti ancora leggibili della struttura antica.

Tratto da: R.La Duca, I bastioni e le porte di Palermo ieri e oggi, a cura di Francesco Arnetta,
Salvatore Sciascia Editore, 2014.

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