Descrizione Progetto

PORTA DI TERMINI

Nella città medievale, se le mura costituivano la netta linea di demarcazione tra due paesaggi diversi, l’urbano e il rurale, la porta più che una semplice apertura, doveva considerarsi il loro punto dì incontro. Alcune porte che si aprivano lungo la cinta muraria, rivestivano una particolare importanza, in quanto da esse avevano inizio le strade principali che collegavano la città al suo territorio. A palermo, sino al 1852, esisteva la porta Termini che sorgeva nell’attuale incrocio tra le vie Garibaldi e Milano e che per molti secoli rappresentò il punto di uscita verso la campagna meridionale. Pare che prendesse il suo nome dalle vicine terme della Favara o dei bagni della Guadagna, ma alcuni autori, tra i quali il Fazello, vogliono invece che così si chiamasse in quanto da essa si dipartiva la strada che conduceva verso la città di Termini. La porta era antichissima e , anche se non se ne conosce con precisione l’origine, appare già nominata nel 1171, in un atto di quel’anno, con il quale Matteo Ajello donava al monastero del Cancelliere di Palermo un orto vicino ad essa. Nel 1325, durante l’assedio del duca di Calabria, la porta, assieme a quella di S. Agata e di Mazara, fu duramente combattuta ma non espugnata. Avendo subito gravi danni, venne riedificata dalle fondamenta nel 1328 da Federico III ed infine, nel 1470 fu restaurata ad opera del pretore Pietro Speciale. Nel XVI secolo, quando si munirono le mura cittadine di bastioni, anche in prossimità della porta Termini, se ne costruì uno che, in pratica, venne addossato all’antico fornice, sicchè, per mantenere la comunicazione con la campagna, fu necessario creare una lunga galleria sotto il baluardo. Su questo baluardo, nel 1584, fu creata un’infermeria per i frati del convento di S. Maria del Gesù che qui rimase sino al 1630, anno in cui fu fondato il convento di S.Antonino di Padova in fondo all’attuale via Lincoln. Nel 1584, la nobilissima Compagnia della Pace aveva ottenuto la concessione della chiesa di S. Venera, che sorgeva sopra il bastione, assieme ad una parte dello stesso baluardo. Successivamente, avuta in concessione la rimanente parte, a patto che il governatore della compagnia funzionasse da capitano del baluardo, costruì un magnifico oratorio che fu ultimato dopo 4 anni. Come a tutte le porte cittadine anche a quella di Termini erano legati leggende e ricordo storici. Nel 1493, il Senato palermitano aveva posto la porta sotto la protezione di S. Venera, la quale, però ritenne di aspettare sino al 1530 per manifestare la sua benevolenza. Era giunto in quell’anno da Siracusa un contadino, fuggito da quella città per scansare la peste, ma ormai contagiato dal male. Arrivato di fronte alla chiesa di S. Venera, in prossimità della porta, fu bloccato da una mano invisibile e quindi, riferiscono i cronisti “fu discoperta la sua malvagia intenzione e riportò il meritato castigo”. Ma la vicinanza della porta con la Fieravecchia le fu fatale. Questa piazza, nel 1831, nel 1848 e nel 1850, era servita da quartier generale per rivoluzioni e sommosse, e la porta era stata luogo di raggruppamenti di rivoltosi, sicchè il governo non ascoltando le pressioni dei nobili della Compagnia della Pace, ne decise la demolizione nel 1852. Assieme alla porta cadde anche il soprastante oratorio con il suo magnifico prospetto, e si salvò soltanto il pavimento marmoreo che venne sistemato nella grande sala del Palazzo di Città. Durante la demolizione riapparvero le antiche forme della primitiva porta, che era rimasta inglobata per la costruzione del bastione, e che furono rilevate ad opera del duca di Serradifalco. La demolizione della porta creò evidentemente un punto debole lungo la cortina muraria e fu forse vendetta della storia se proprio da questo varco il 27 maggio 1860 entrarono in Palermo i Mille di Garibaldi.

Italiano
English
Caricamento...